FROZEN: Il cinema d’attesa e l’empatia dello spettatore

Frozen è un film di attesa e silenzio, di attesa e parole, di attesa e sangue.

La premessa è semplice, tre ragazzi, due amici d’infanzia e la fidanzata di uno dei due, restano bloccati su di una seggiovia, in pieno inverno. Siamo alla fine del week-end, quindi l’impianto resterà chiuso una settimana. Dovranno cercare di trovare il modo per salvarsi, mentre il ghiaccio e i lupi li circonderanno lentamente.

Ecco, Frozen è tutto qui, cinema di attesa come già detto, di spazio e di empatia, sospeso come i suoi protagonisti, tra cielo e terra, mentre il tempo scorre e la vita fugge via. Al di là del più o meno prevedibile svolgersi della vicenda, non è poi così difficile indovinare cosa accadrà, Frozen acquista punti nel tinteggiare egregiamente i personaggi, che al di là di qualche verbosità di troppo, risultano estremamente reali ed umani.

Resta chiaramente implicito, che il primo titolo ad affacciarsi nelle nostre menti, è quel Open Water che qualche anno fa, uscendo in sordina sul finire dell’estate, sbalordì un pò tutti, per il perfetto meccanismo narrativo e per le ottime e disperate interpretazioni dei due protagonisti. Con Frozen ci troviamo nello stesso campo da gioco, anche se le regole appaiono fin da subito differenti. Nessuno spazio alla traballante precarietà del finto documentario, ma solide inquadrature funzionali alla narrazione di una vicenda che a saper ben guardare riesce a far l’amore con noi spettatori, tenendoci costantemente con il fiato sospeso.

Questa è la carta vincente di Frozen, l’immedesimazione e l’empatia totali, con cui lo spettatore viene da prima corteggiato e poi sbattuto al buio e al gelo, affamato ed impaurito con i tre protagonisti. Spazio ed attesa, per una vicenda che non manca di prospettiva e ambizione, riuscendo nell’impresa quasi impossibile di scaraventare chi guarda all’interno del film, quarto incomodo, seduto al fianco dei tre amici, su quella dannata seggiovia.

Ottima prova per il regista Adam Green, libero dalla caciarona gigioneria di Hatchet e molto a proprio agio, con una storia asciutta ed essenziale, che per una volta preferisce suggerire invece di mostrare, spesso facendo accadere, coraggiosamente, le cose fuori inquadratura e fuggendo l’efettaccio e il colpo basso a tutti i costi.

Di certo non un capolavoro, ma un ottimo balsamo per lenire le ferite di ogni appassionato di horror, suspance, survival e in ultimo, di cinema.

 

VOTO
Se avete da 00 a 13 anni: Vietato, n.c.
Se avete da 13 a 20 anni: Carino, 6,5
Se avete da 20 a 30 anni: Molto carino, 7
Se avete da 30 a 40 anni: Divertente, 7
Se avete da 40 anni in su: Interessante, 6,5

 

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